SOTTO ASSEDIO
Etienne
Sandlaufer aveva visto la sua terra natale, nell'Arles, purificata dalla
Controriforma, e i Giustini squartati e ammucchiati ancora vivi dai soldati del
Re di Spagna con le insegne bianche del Papa Bonifacio VI.
Era stato lui
stesso uno di quei soldati.
Aveva provato orrore,
e schifo per tutte quelle frattaglie sparse intorno, con i cani scheletrici che
andavano a leccare miseri resti, ma non paura.
I Giustini erano
vittime, e nel mondo le vittime ci saranno sempre, Sandlaufer lo aveva capito
molto tempo prima.
Sua madre aveva
creduto a quel profeta, Giustinus, come si faceva chiamare, un tedesco di
Lorena con una gran pancia e un grande desiderio di farsi martire per la vera
fede, e magari non da solo, come infatti accadde, perché molti si fidarono di
lui. Poi arrivarono i soldati, e bisognava farsi assoldare o si era un nemico.
Etienne, nel massacro
aveva tenuto gli occhi chiusi, temendo di vedersi improvvisamente di fronte sua
madre, legata con gli altri, in attesa del macello.
Ma la piazza dove si
svolgevano le operazioni era grande ed ebbe la fortuna di non vederla.
Sua madre era sempre
stata una vittima, lui stava cercando di smettere di esserlo. Ma ora lo era di
nuovo.
Vittima.
E la cosa to
terrorizzava.
Perché i recenti
accadimenti al castillo grande di Ischia avevano dello straordinario, dello
stregonesco anche, a le autorità volevano una spiegazione.
E più semplice
sarebbe stata la spiegazione, più sarebbero stati soddisfatti.
Lui era stato
abbastanza nell'esercito da capire qualcosa della loro burocrazia. Da quel
giorno ad Arles non aveva mai smesso di ammazzare per loro. Nella sua
ingenuità, al principio, aveva pensato che sarebbe bastato.
Uccidere.
Per farli contenti.
Ma ora sapeva come
stavano veramente le cose.
La sua vita non
valeva niente in quel momento.
Il problema era che
lui non poteva dare una spiegazione semplice, perché una spiegazione semplice
non c'era.
Non aveva
capito molto da quanto era giunto nei possedimenti degli Asburgo nell'Italia
meridionale, tutto cosi nuovo, cosi diverso.
A partire
dall'orrore.
II suo problema era
ancora più grave, perché nemmeno loro potevano fare un passo indietro. Allora,
decise, cercherò di inventarmi qualcosa che loro siano disposti a credere.
Era il prete il più
pericoloso? Certo era quello più silenzioso. E magro, come lo possono essere
solo le persone cattive. Quell'altro, invece, era un militare.
No, non un militare
di carriera, come lui, ma un militare di nascita. Doveva aver ereditato con la
nascita, oltre al grado militare, anche quello di giudice laico
dell'Inquisizione.
Una carica
che certo si portava con maggior leggerezza fuori dalle mura di quel Tribunale.
“Allora, mon
capitain, com’ça va? La sua relatione es muy interessant, tres interessant, n’est
pas? “
Così, mon capitain, vi era esta muchacha in su lo
castelto la noche che li pirates fuirono dall'Ischia, n’est pas?”
“Eccellenzia, yo non sabe. Estono
testimoniancie indirecte, de barbudos ca stanno de guarnigione.”
“Vedo, capitain.”
Scorrendo un elenco: “Tale Diego Estevan, di Maiorca y Antonio la
Miccola, italiano di Insula Procica.”
“Eccellenzia, soy iente priva de
honor, che vivon per sbevazzar. L'ho fatto mettere in mea relatione.”
“Veco, capitain, veco. Sape leyer y
scriber, mon capitan?”
“No, eccellenzia, lo siento.”
“Ah, seguro, amigo capitain. Fidel alla
Ispagna, nest pas?”
“Soy fiammingo y cattolico. Suddito
fedelissimo dello Sire cattolicissimo Alberto.”
“Fiammingo, eh? Strana gente”.
Il prete si era fatto avanti, silenziosamente ed ora era proprio alle
spalle di Sandlaufer, seduto. Sandlaufer sudava, non lo aveva sentito
arrivargli alle spalle.
Istintivamente,
fece per alzarsi, ma il prete lo trattenne posandogli sulla spalla una mano
ancora più ossuta del resto del corpo.
Una mano
fragilissima, come di vetro.
Ma l'effetto fu peggio di ricevere una coltellata.
“Cosa ha visto esattamente, capitano?”
Facendo perno sulla
mano che aveva lasciato sulla spalla, si ritrovarono a fissarsi a pochi
centimetri. Sandlaufer abbassò subito lo sguardo.
Sapeva che
all'Inquisizione insegnano a guardare dentro un uomo, e che possono prendere le
informazioni che cercano direttamente dagli occhi dell' interrogato.
La pratica di
gente magica e dei loro affari cambia questi preti, tirandoli per i lembi del
saio fin giù verso l'inferno. Per questo la loro fede deve essere più salda di
quella comune, una fede fanatica, perché ogni giorno giocano a dadi col demonio
a la posta è ben più della loro vita.
È l'eternità,
scottata da bruciantissime fiamme.
“Forse un...Fantasma, capitano?”
Questa volta
non potè non rialzare immediatamente to sguardo, rosso in volto.
“Ah, ah, capitano non deve avere paura.”
Ma non specificò di cosa non dovesse avere paura.
“Si legge nella relazione che i galloni
sono per i fatti d'armi di Verona.
Si legge, sempre nella relazione, che in una schermaglia,
capitano, voi avete ucciso in duello un capitano Parmense, certo Ennio Del
Verme.
Ma qui abbiamo un valoroso, signor conte.”
Il conte, chiamato in
causa, abbozzò un sorriso, ma si trattenne dall'intervenire.
Era tutta una
questione di gerarchie.
“Cosa poteva farvi tanta paura?
I saracini?
Ma quelli erano fuori del castello, voi
tutti eravate in salvo intra moenia.
No, forse i barbudos sono ubriachi e i
villici codardi.
Ma voi, capitano, torno a ripetere, cosa
poteva spaventarvi tanto da far scrivere al segretario del castello
che...Dunque...ah, ecco, è scritto qui: ...Dopo la seconda apparizione della
muchacha con la lampada, gli uomini non avevano animo di prestare la guardia su
chillo bastione. Interrogati, coloro ca dichiarano di aver visto la
muchacha...ha sembiante di muliera, ma non anco consistenzia.
Io istesso ebbi timore di avventurarmi per quelle
parti dopo il vespro.”
Capitano, capitano, era o non era quello
il bastione che dava sul ponte?
Non avevate di fronte i saracini da
sorvegliare?
Da lì sarebbe venuta la maior minaccia.”
“C'erano anche altri posti di guardia, su
quel lato, e, come ho dettato nella mea relatione, eravamo in tutto trenta y
uno de guarnigione.
Gli otros todos campesinos, accampati intra i
giardini e cantine.
Deve essere scritto questo tra tutte quelle
parole.”
“Si, capitano, è scritto.”
Quello che il capitano Sandlaufer imparò a temere di più furono gli
intervalli tra un interrogatorio e un altro.
A volte
erano brevissimi, un' altra volta passavano addirittura due giorni.
Ebbe tutto
il tempo per pensare alle domande che gli avevano fatto a alle risposte che
aveva dato. Era esattamente quelto che si erano aspettati facesse.
Ma pensò
molto anche a quelto che era accaduto durante l'assedio al castello grande di
Ischia.
La prima volta che
vide la grande insula di Ischia gli apparve talmente abbagliante da doversi
riparare gli occhi con la mano guantata.
Il caldo gli
scivolava lungo la schiena.
Il suo primo incontro
con l' insula di Ischia, nonostante tutto quel rigoglio di sole, fu un incontro
dettato dalla paura.
Perchè
Sandlaufer non sapeva nuotare, e non aveva mai neanche pensato di salire su una
barca. Le uniche navi che pensava di vedere in tutta la sua vita, quando era
bambino, erano i bianchi mulini a vento che volavano con le toro lunghe pale
per distese gialle di grano.
Ora. avvertiva tutta
la massa d' acquia sotto di lui come un qualcosa di ostile.
Rimase rigido, quasi
sull' attenti, per tutta la traversata.
La guarnigione era
quanto di peggio ci si potesse aspettare, i soldati erano coscritti. Una leva che si stava protraendo già da
tre anni. Molti si erano creati una seconda famiglia lì sull' isola.
Erano molte le cose sulle quali si chiudevano gli
occhi. Perchè l'isola di Ischia è spaventosa.
La terra fuma a in
più punti si spacca riversandone fuori il magma.
Persino i fanghi, che
si diceva avessero antiche virtù teraupetiche, erano impraticabili in quel
periodo dell'anno.
Sandlaufer fece
presto a confrontarsi col terrore che aveva trovato ad aspettarto alla banchina
del porto.
In seguito ad una
segnalazione di borsaneristi, gli fu dato incarico dal comandante del castilto,
di scendere nelle catacombe sotto la vecchia chiesa per cercare merce di
contrabbando.
Spezie, soprattutto.
Un pepe che si diceva
avere uno splendido profumo a un cotore verde di pietra preziosa.
La cosa gli apparve
semplice all'inizio, ma ben presto si scontrò con la ritrosia dei suoi uomini.
Dovette letteralmente spingere a calci cinque "volontari" in uno dei
cunicoli che portava al centro del piccoto cimitero sotterraneo.
Un fetore
insopportabile, a teschi che li fissavano dalle spaccature delle anfore dove
erano sepolte anime di pagani.
Laggiù era in agguato
una morte vecchissima, talmente vecchia da essere stata dimenticata dalle altre
sue sorelle, che corrono per il mondo su cavalli scheletrici a raccogliere un
triste raccolto.
Sandlaufer si era
messo in coda della spedizione, che non poteva che avanzare carponi, per
scongiurare diserzioni, ma soprattutto per evitare di ricevere una pugnalata
buia alla schiena. Morire era
un'idea cui non si era ancora abituato, nonostante di morte ne avesse vista
molta, ma rimanere laggiù, per sempre, era un qualcosa che faceva gridare la
sua anima, cieca prigioniera di carni tremanti.
Ad un certo punto,
quasi per tacita intesa, i suoi si erano messi ad andare più veloci e ben
presto, nonostante i suoi sforzi, e impacciato dal sottile a lungo stocco che
non aveva voluto abbandonare, Sandlaufer si ritrovò da solo.
La candela che aveva
in mano più che fare luce lo spaventava creando milioni di ombre di dita
tutt'intorno a lui.
In quel momento, se avesse potuto guardarsi in viso, la
sua stessa espressione l'avrebbe atterrito più che se avesse visto il demonio
in persona.
Vide anche il
demonio, perché quei sotterranei erano molto frequentati.
Fu come se una voce
lo chiamasse, una voce che aveva il tono di un vento sottile. Forse si trattava
soto degli scherzi di una corrente d'aria, ma la terra cominciava a farsi
sempre più calda man mano che andava avanti.
Già doveva
appoggiarsi agli avambracci rivestiti della pelle della sottocorazza, le mani
gli erano diventate nere dal bruciore e alle ginocchia, dove le braghe erano
più consumate, sentiva come dei piccoli aghi incandescenti.
Il cunicolo era
troppo stretto per girarsi, fu costretto a rifare tutto il percorso
all'indietro, mettendoci un tempo infinito.
Quando alla fine
ritornò all'aria aperta, col culo per aria, c'erano decine di persone, compresi
i suoi bravi, che conoscendo meglio quel labirinto erano riusciti ad uscire due
ore prima, ad indicarlo e a sghignazzare masticando mezze parole dialettali che
lui non comprendeva.
Questo lo fece
arrabbiare ancora di più, ma sapeva anche che un rapporto dettagliato avrebbe
finito per rendere la cosa ancora più divertente ai suoi danni. Lasciò cadere
la cosa, con gran senso di frustrazione da parte sua, non abituato com'era,
nelle sue terre natali, a misurarsi corpo a corpo con il ridicolo.
La voce che gli
sembrava di avere udito lì quand'era da solo nei sotterranei, lo perseguitava.
Era come si immaginava
fosse stata la voce di sua madre mentre saliva sul patibolo, colla schiena
sanguinante dalla frustate, la voce di un vitelto al mattatoio.
Straziante, come di
un tessuto che si strappa facendo molta resistenza.
Si, la Lampera, o
Lampadara, lui l'aveva vista.
La santa muchaca che
aveva salvato tutti loro dai saraceni.
E chi altri avrebbe
potuto fermarli?
Il castillo era
vecchio, i difensori pochi.
Da Napoli non sarebbe
venuto nessun aiuto, non c'erano navi, lo sapevano tutti.
Le ultime otto galee
erano nei cantieri navali di Ostia per riparazioni.
Agli spagnoli non
interessava il Mediterraneo, questa era la verità, la toro politica difensiva
contro i pirati era di puro contenimento.
La preoccupazione dei
più era quella di costruirsi una piccola zattera di fortuna a tentare di
raggiungere la terraferma che non era molto distante.
Ma quelle acque erano
pericolose.
Molti affogavano
sotto gli occhi degli ischitani che affollavano gli spalti.
I più sfortunati
caddero in mano dei saraceni.
Poi era cominciata ad
apparire lei, la ragazza che portava un velo sulla testa e una lampada in mano.
Percorreva di notte
gli spalti che davano sull' isola, con un passo svelto, di piccoli piedi che si
muovono rapidamente.
Una volta Sandlaufer
pensò di aver scoperto il mistero.
Fermò una piccola
sordomuta, che tutti conoscevano per il suo carattere mite, mentre girava di
notte a piedi scalzi. Aveva occhi di fuoco a si dibatteva con forza tra le sue
braccia, tanto che gli riuscì difficile non lasciarla andare.
Ma si era sbagliato,
perché proprio allora arrivò di corsa una sentinella comunicando che una
ragazza misteriosa con una lampada era appena stata vista dall'altro lato delle
mura.
Etienne corse per il
giardino dei lecci calpestando alcuni fagotti che diedero in grida di protesta.
Tutti gli abitanti
dell'isola si erano rifugiati nella grande fortificazione a lo spazio era poco.
Naturalmente quando
arrivò dall'altro lato del castello la Lampera non c' era più.
Il capitano inghiotti
in silenzioso silenzio un altro smacco.
Notò però che una
piccola porta si apriva nel vuoto a tre metri sotto gli spalti e a più di venti
sopra il livello del mare. Il giorno seguente, fece calare un uomo, un tale
Antonio Sorrentino, con una corda.
Dieci minuti dopo la
porta del convento poco distante si spalancò a tante suore simili a chiocce ne
uscirono fuori spaventate.
Le seguiva a breve
distanza, con un'espressione immensamente divertita, Antonio. Approfittando del
fatto che tutte le suore erano oramai uscite, Sandlaufer si decise a
ispezionare anche quelle stanze segrete agli uomini.
Fu to
stesso Sorrentino ad indicargli un pertugio, turandosi il naso a sorridendo a
denti stretti.
Sandlaufer
avrebbe voluto conoscere meglio la lingua particolare che si parlava in quella
pane del mondo.
Lo spagnoto
appreso frequentando gli accampamenti militari in sette anni di campagne a
battaglie su a giù per l'europa imperiale, rovinato per di più dalla forte
cadenza anglosassone, lo aiutava a ben poco.
A tutta prima,
dall'odore sgradevole ma basso, come in sottofondo, il capitano pensò di
trovarsi in una latrina. C'era lo stesso odore di fiori bianchi, che crescevano
dappertutto su quell'isola, anche nelle zone più vulcaniche, usati appunto a
questo scopo.
Ma non appena ebbe
abituato i suoi occhi alla semioscurità, scorse delle figure incappucciate
sedute colle spalle al muro e tutte raccolte su se stesse, come un fiore che
appassisce reclinandosi sul gambo.
Stava quasi per toccarne una, non aveva mai visto uno dei cosiddetti
scolatoi di cui però tanto gli aveva parlato sua madre da bambino per
spaventarto ‑ aspettano che il cadavere coli in un imbuto a poi imbottigliano
in una bottiglia nera. È il vino preferito da Satana ‑ quando una suora
corpulenta, grossa abbastanza da essere un'autorevole madre superiora, lo
afferrò per un braccio trascinandoto senza riguardi all'uscita.
Il prete
pensava di essere lui il più forte, a in questo probabilmente aveva ragione. Ma
fece l' errore di lasciarto slegato dopo l' ennesima seduta di tortura.
L'uffiziale vanitoso
di prima era uscito fuori slacciandosi la gorgiera.
Probabilmente stava
vomitando, vista anche la sua andatura incerta.
Il prete non era
andato troppo per il sottile.
Riuscirò ancora ad
fare l' amore? Pensava Etienne, a rise silenziosamente tra i denti sporchi di
sangue: fare l'amore in quel momento avrebbe dovuto costituire l'ultimo dei
suoi pensieri.
“Io so che state mentendo, capitano. Questo mondo è pieno di menzogne”,
gli diceva il prete con tutta la
fronte imperlata di sudore. Il timbro della voce suonava come rasserenato dalla
fatica.
Il rumore che l' acqua
faceva nella ciotola mentre il prete si stava sciacquando le mani, gli provocò
dei movimenti all' interno della pancia.
Dopo la tortura dell'
acqua, era stato costretto a pisciarsi addosso un numero indefinito di volte,
le ultime lo aveva fatto meccanicamente, quasi senza accorgersene.
Si, era stato un
errore lasciarto slegato.
È anche vero però che
strangolare il prete gli era costato una fatica immane a una lotta lenta,
tenace, dove aveva compensato alla debolezza del corpo appoggiandosi con tutto
il suo peso, e ora giaceva riverso sulla schiena, completamente esausto,
affianco al suo aguzzino.
Il prete, da morto,
sembrava essersi ancora più smagrito a le braccia che uscivano dal saio erano
due rami secchi. Eppure, doveva avere avuto una forza straordinaria. Era stata
una fortuna sfacciata riuscire a sorprenderlo.
L' acqua nella pancia
ricominciò a muoversi da una parte all'altra quando tentò di rialzarsi.
Si trascinò fino alla
pesante porta in ferro, e li si fermò per riacquistare energie e pensare.
Respirava colla bocca
spalancata, come se tenesse la testa sott'acqua.
"Sarà ancora più facile con quel
pallone gonfiato. E poi troverò un modo per ascire da questa prigione.
E dopo? La soluzione migliore sarebbe quella di
fuggire nelle campagne, ma li conosco io come sono i contadini: sempre pronti a
denunciarti al loro signore. No, dovrei trovare un nascondiglio in città,
magari proprio qui vicino. Non penseranno mai di cercarmi cosi vicino".
Intanto dei passi di
scarpette eleganti, vezzose, si avvicinavano.
Gli pareva quasi di
vederto, quel conte, mentre si arricciava i baffi a tentava di darsi un tono
più appropriato prima di entrare nella sala delle torture.